Ficarra e Picone, il duo comico siciliano di Zelig, hanno presentato, al Teatro Tenda della Fiera di Milano, lo spettacolo “Ma chi ce lo doveva dire?”. E che dire? È sempre un po’ difficile passare da ciò che vediamo in televisione a ciò che vediamo a teatro. La televisione è un diaframma che in qualche modo modifica la percezione, ovviamente. Nulla di nuovo. La televisione, per raccontarci la solita storiella di Mac Luhan, è un “medium”, e senza stare a dire che forse, magari, è lei il messaggio, ha dei tempi e delle modalità diverse da quelle del palcoscenico teatrale. Ci sono le pause pubblicitarie, c’è una regia che ci fa vedere, a noi spettatori, quello che più piace e funziona in quel momento, tralasciando o comunque non inquadrando alcune cose. Fatta questa premessa, devo dire anche abbastanza ovvia, dico che i due figlioli di Zelig sono bravi… il problema è tenere in piedi uno spettacolo dal vivo per più di un’ora e mezza.
La trasmissione televisiva Zelig, ahimè, ci ha abituato a una comicità mordi e fuggi, a rapidi sketch di rapidi comici che in un ritmo forsennato si susseguono. I tempi sono dati dalla pubblicità. La scaletta è studiata in base ai break pubblicitari. E tutto il resto viene di conseguenza. A teatro no. A teatro ci vuole comunque una drammaturgia. Un collante che tenga unita la costruzione: in due parole un filo conduttore. E questo a Ficarra e Picone manca. Ma non per loro negligenza, o che so altro, ma solo perché sono figli della televisione. Sono nati con il preciso obiettivo di arrivare in televisione nonostante, senza dubbio, abbiano fatto la loro gavetta a teatro. E questo si vede, ma non basta e non abbastanza. Alla lunga il loro spettacolo un po’ annoia. Si passa da uno sketch all’altro, così, come si fa in televisione senza una continuità. Certo loro sono bravi il palcoscenico riescono a tenerlo, hanno tutto sommato dei buoni ritmi, una discreta capacità di improvvisazione, una fisicità, magari, non fortissima ma sufficiente, e alcune scenette, per quanto la maggior parte pecchino di scarsa inventiva, fanno sorridere.
Inoltre, forse, il marchio di fabbrica Gino e Michele, che sovrasta tutto il caravanserraglio di Zelig, si fa sentire troppo. Inizia a farsi sentire troppo e anche ad annoiare un po’ troppo: un mix di politically correct e politically scorrect leggero leggero, che, per l’amor di Dio, non faccia male a nessuno. E qui, ahimè, devo aprire il capitolo e il discorso su un fenomeno fin troppo diffuso tra i comici “italioti”: l’incapacità d’astrazione. Il dovere essere legati così a doppia mandata alla cronaca, alla realtà ma senza riuscire a travalicarla. La satira, la grande satira, che va da Aristofane, a Swift, e arriva fino a Lenny Bruce e Kurt Vonnegut, funziona e attraversa la storia per la capacità di astrazione. In poche parole la mia domanda è: ma se domani muore Berlusconi i comici di chi parleranno? Anche loro disoccupati?
Di Andrea Cavallari
Teatro